Premessa
È noto come l’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000 (1) punisca le ipotesi di indebita compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, in relazione al superamento della soglia di 50.000 euro, distinguendo, a seconda della gravità, tra crediti non spettanti e crediti inesistenti, prevedendo la reclusione da sei mesi a due anni per le ipotesi di crediti non spettanti e da un anno e sei mesi a sei anni per le ipotesi invece di crediti inesistenti. È chiaro come il testo dell’art. 10-quater debba essere interpretato con il combinato disposto del comma 5, dell’art. 13 del D.Lgs. 471/1997 (2), laddove si fornisce una definizione di crediti inesistenti, stabilendo che «Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633». Lo stesso art. 13, sempre al comma 5, prevede una sanzione dal 100 al 200% nel caso di crediti inesistenti ed una sanzione più mite del 30%, quando i crediti utilizzati in compensazione risultano non spettanti.
I requisiti per l’inesistenza del credito nella legislazione
Dalla lettura dell’art. 13 è possibile comprendere che, per considerare un credito “inesistente”, devono sussistere due requisiti:
a) deve mancare il presupposto costitutivo (ossia quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente);
b) l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria.
In mancanza di uno dei predetti requisiti, il credito deve ritenersi “non spettante”, ipotesi quest’ultima prevista dal comma 1, dell’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000 (e oggettivamente meno gravosa).
Le pronunce della giurisprudenza
A stabilire la corretta qualificazione dei crediti come “non spettanti” o “inesistenti” ha contribuito anche la Corte di Cassazione, sez. quinta civile-tributaria, che, con le sentenze n. 34443, n. 34444 e n. 33455, depositate il 16 novembre 2021, ha ritenuto che «la fruizione della agevolazione soggiace a oneri documentali tali che, ove regolarmente assolti, nella generalità dei casi dovrebbero escludere ipso facto che la condotta dei contribuenti possa annoverarsi tra quelle fraudolente che la sanzione per credito inesistente intende colpire».
Anche la Corte di Cassazione, sez. terza penale, ha dato il proprio contributo con la sentenza n. 07615-22 del 21 gennaio 2022, dove ha statuito che la definizione di credito inesistente si desume dall’art. 13, comma 5, del D.Lgs. 471/1997, ribadendo in particolare che solo in presenza dei due presupposti (rectius: requisiti) sopra richiamati il credito può classificarsi come “inesistente” e la mancanza di uno solo di essi fa sì che il credito possa definirsi come “credito non spettante”. La Corte Suprema continua stabilendo che «la diversità delle due ipotesi (non spettante; inesistente) incide anche sul piano dell’elemento soggettivo, diverso nelle due ipotesi contemplate dal comma primo e dal comma secondo dell’art. 10-quater, D.lgs. n. 74/2000, atteso che l’inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti “non spettanti” occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa». Ne deriva che la classificazione di un credito all’atto del recupero, da parte degli organi di controllo a ciò preposti, assume una forte rilevanza giuridica in ragione sia degli effetti penali in capo al contribuente, sia riguardo alle sanzioni irrogate.
I profili di accertamento fiscale
Per completezza, merita di essere trattata la disputa su come la collocazione dei crediti tra quelli “inesistenti” o tra quelli “non spettanti” risulta essere rilevante anche ai fini dei termini entro cui l’Ufficio finanziario può procedere al loro recupero a pena di decadenza. Invero, stando all’interpretazione letterale dell’art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, conv. con modif. in L. n. 2/2009, l’atto di recupero emesso a seguito
del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificati (modello F24), ovvero dei “crediti inesistenti” indebitamente utilizzati in compensazione, deve essere notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello relativo all’utilizzo. Appare evidente come l’art. 27 faccia riferimento ai soli “crediti inesistenti”, per cui si ritiene che, riguardo ai “crediti non spettanti”, si applichino i termini ordinari dell’accertamento fiscale dettati dall’art. 43 del D.P.R. 602/1973 e dall’art. 57 del D.P.R. 633/1972, i quali sono collegati alla presentazione della dichiarazione fiscale, piuttosto che alle ipotesi di utilizzo del credito attraverso il modello F24. Riguardo proprio a tale ultimo aspetto è opportuno richiamare la recente giurisprudenza di legittimità che pare finalmente abbia superato i precedenti arresti giurisprudenziali. Infatti la Corte di Cassazione, sez. penale, nella sentenza n. 7615/2022, quando definisce la differenza tra crediti non spettanti e quelli inesistenti, circoscrivendo questi ultimi alla necessità che siano ancorati ad ipotesi di situazioni non reali o non vere e riferendosi a fenomeni di fraudolenza, fa un passaggio importante, affermando che «Non è un caso che il più ampio termine per la notifica dell’atto di recupero riguardi necessariamente una fattispecie più ristretta, evidentemente ritenuta più grave», facendo riferimento (implicitamente) proprio ai “crediti inesistenti”. Precetto confermato in modo più trasparente dalla Corte di Cassazione, sez. civile-tributaria, nella sentenza n. 34444/2021, la quale enuncia il seguente principio di diritto «In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma 16, del d.l. n. 185 del 2008, conv. in legge n. 2 del 2009, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – anche ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, del d.lgs. n. 471/1997 (introdotto dall’art. 15 del d.lgs. n. 158/2015) – credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, reale) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.p.r. n. 600/1973 e all’art. 54- bis del d.p.r. n. 633/1972». Con quest’ultima pronuncia della Corte Suprema sembra che finalmente sia stata superata la “omonimia” interpretativa (cara agli uffici finanziari) dei due concetti di credito indebitamente compensato (inesistente e non spettante), così come i termini di decadenza dell’atto di recupero dei crediti dove, per quelli non spettanti esposti in dichiarazione, vige il collegamento diretto con i termini previsti dall’art. 43 del DP.R. 600/1973. L’Agenzia delle Entrate, purtroppo, non sembra subordinare l’adozione dell’atto di recupero alla circostanza che, come previsto dall’art. 27, comma 16, cit., l’inesistenza del credito emerga, rispetto al credito non spettante, quando si riscontrano casi di dolo e/o fraudolenza. A questo punto, al fine di porre fine ad una questione che ci coinvolgerà sempre di più, nonostante l’intervento della Corte Suprema, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore, il quale, attraverso la modifica dell’art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471/1997 e dello stesso art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000, determinasse con chiarezza la cornice giuridica all’interno della quale un credito possa qualificarsi “inesistente” e/o “non spettante”.
Conclusioni
L’Agenzia delle Entrate, così come la GdF, chiamate a combattere le frodi nel sistema dei crediti d’imposta, continuano a trattare indistintamente tutti gli atti di recupero, come crediti inesistenti e, dai numerosi controlli in corso sui crediti d’imposta utilizzati in compensazione dalle imprese, assumono sempre più rilevanza le modalità operative adottate dagli stessi organi di controllo, i quali, come vedremo in seguito, fondano i rilievi abusando delle interpretazioni contenute nelle circolari amministrative (quasi si trattasse di norme di interpretazione autentica). Tale forzatura è spesso causa di effetti distorsivi sulle imprese e sui loro titolari o amministratori, per le ricadute in ordine ai reati penali di natura tributaria (che possono configurarsi nei casi del superamento della soglia dei 50.000 euro ex art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000).
Note:
1 Art. 10-quater D.Lgs. 74/2000: 1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa
le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti
non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. 2. È punito con la reclusione da un anno e
sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17
del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro.
2 Art. 13, comma 5, D.Lgs. 471/1997: 5. Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento
delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni
previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17,
comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in
parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-
ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
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