La Dichiarazione non Finanziaria (DNF) è un documento che le società devono produrre per fornire informazioni sul loro impatto ambientale, sociale e sulla governance (ESG) ai loro stakeholder.
La DNF rappresenta oggi uno strumento cruciale per migliorare la trasparenza e la rendicontazione delle aziende e per promuovere la sostenibilità a livello globale. In particolare, la DNF è stata introdotta a livello europeo dalla Direttiva n. 2014/95/UE, recepita dal nostro ordinamento con il D. Lgs. n. 254/2016, che impone di pubblicare informazioni non finanziarie sui temi dell’ESG e ha stabilito un punto fermo nei processi di rendicontazione delle imprese stesse. Rendicontazione che tocca tutti gli ambiti della responsabilità sociale, stabilendo l’obbligo per le grandi imprese, considerate di interesse pubblico, di rappresentare annualmente per ogni esercizio finanziario, attraverso l’adozione di standard e linee guida emanati da organismi sovranazionali, una dichiarazione di carattere non finanziario sui temi ambientali, sociali, sui diritti umani, sulla lotta alla corruzione.
Queste imprese sono rappresentate da quelle che abbiano avuto in media un numero di dipendenti superiore a 500 e abbiano superato almeno uno dei limiti dimensionali stabiliti dallo stesso decreto legislativo: uno stato patrimoniale di 20 milioni o ricavi per 40 milioni. È attraverso la Dichiarazione non finanziaria, spiega Emanuele Sipala, Dottore Commercialista e Revisore Contabile, socio dello Studio Tributario Sipala Raiti & Partners, che l’impresa «comunica le proprie performance ESG ed i progressi ottenuti in ambito ambientale, sociale e di governance». La
Dichiarazione non Finanziaria, infatti, «si intreccia con i criteri ESG fotografando la strategia adottata dall’azienda per gestire in modo efficace, inclusivo e circolare le problematiche inerenti all’impatto sociale e ambientale. L’obiettivo è quello di rappresentare in modo dettagliato le politiche sulla sicurezza, la salute, l’ambiente, il rispetto dei diritti umani e la lotta alla corruzione». La Dichiarazione non finanziaria rappresenta pertanto, anche per le imprese che non sono tenute per obbligo alla relativa redazione, un incentivo per comunicare informazioni dell’azienda in riferimento all’impatto di questa sul territorio e sull’ambiente. Le società che redigono il rendiconto non finanziario, prosegue il dottor Sipala, sono in continua crescita e «molte hanno deciso di pubblicare una DNF volontaria. Il report di sostenibilità sta rappresentando una nuova cultura d’impresa e dal 2023 con la nuova proposta di direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale, le imprese tenute a redigere il report saranno sempre più in aumento».
Poiché la DNF rappresenta la tappa fiturale in corso negli ultimi anni, infatti, «hanno dato sempre più importanza alle imprese che si dimostrano sensibili ai temi dell’ambiente e della società ed è per queste ragioni che un numero sempre maggiore di società sta considerando un nuovo paradigma, adottando un modello di sviluppo che mette al centro il “bene comune”».
La DNF è una leva di cambiamento, ma presenta anche dei rischi. In particolare, il rischio è rappresentato dal cosiddetto greenwashing, analisi e rappresentazioni non veritiere. Un fenomeno che nasce principalmente alla mancanza di standards condivisi e di società di rating che possono verificare ed attestare attraverso valutazioni oggettive, l’impegno della società o l’attendibilità del proprio operato in termini non finanziari. Lasciando da parte le distorsioni e tornano al cuore del processo, va subito rilevato che un ruolo importante in questo processo culturale lo stanno inoltre assumendo oltre alle società certificate B-Corp, anche le cd “Società Benefit”, si tratta di un nuovo tipo sociale di società, regolate nel nostro ordinamento dalla L. 208/2015, la quale in buona sostanza ha dato attuazione in Italia alle Benefit Corporation, ovvero società che oltre al profitto, hanno inserito nel proprio oggetto sociale anche obiettivi di bene comune. Che cosa si deve intendere, fuor di retorica, per “bene comune”? «Dobbiamo intendere un modello di business etico», commenta Emanuele Sipala, orientato alla promozione e alla diffusione di modelli e sistemi economici e sociali sostenibili, alla creazione di un ambiente di lavoro nale di un’opera di rilevazione di dati, di elaborazioni e calcoli e di monitoraggi che dovranno essere effettuati all’interno dell’organizzazione aziendale e che coinvolgono le diverse aree operanti all’interno dell’azienda sono molte le figure professionali coinvolte nel processo, attraverso ambiti di specifica competenza: Sustainability Governance e Sustainability Accounting, Sustainability Management e Control Systems, Sustainability Scorecards e Sustainability Management Systems. Nello specifico, si tratta di «trasmettere una nuova cultura aziendale agli addetti che operano su vari livelli nella struttura aziendale. Più in particolare si può ritenere che le aree interessate sono quelle relative al personale, al management aziendale, agli addetti alla sicurezza, all’anticorruzione». A queste figure interne, necessariamente si affiancano i professionisti esterni con competenze sull’impatto sociale, ambientale e in materia di sicurezza. Sono loro ad adempiere alla redazione vera e propria della dichiarazione non finanziaria: i cosiddetti External Reporting, i quali devono possedere competenze contabili, legali e tecnico-ambientali. La DNF è dunque lo strumento chiave che indica le strategie che l’impresa mette in atto per la sostenibilità ambientale, l’inclusione sociale e “racconta” i risultati che l’organizzazione ottiene dall’attuazione di quelle strategie. Oggi assume un ruolo sempre più importante, osserva Sipala, «per la trasparenza delle imprese e per la brand reputation, con ripercussioni sulle scelte degli investitori e di tutti gli stakeholders». Lo scenario macroeconomico e il cambiamento culpositivo volto alla valorizzazione, alla crescita e al benessere delle persone, al rispetto dei tempi e dei bisogni individuali e con politiche che puntano ad aumentare costantemente la soddisfazione di lavorare per l’azienda. Inoltre, concorrono a questa idea di bene comune «l’eliminazione degli sprechi e l’utilizzo di risorse in linea con un approccio eco-sostenibile; la promozione e la diffusione della cultura della sostenibilità nel territorio in cui la società
opera attraverso un dialogo collaborativo con gli stakeholder, tra cui organizzazioni profit e non profit il cui scopo sia allineato con quello della società ». In quest’ottica, l’attrattiva di una azienda si misura ormai non solo dalla propria solidità economico-finanziaria, ma anche dalle strategie di responsabilità sociale, ed è soprattutto tramite la
Dichiarazione non Finanziaria che l’impresa comunica le proprie performance ESG. La Dichiarazione non Finanziaria si intreccia con i criteri ESG fotografando – spiega ancora il dottor Sipala – «la strategia adottata dall’azienda per gestire in modo efficace, inclusivo e circolare le problematiche inerenti l’impatto sociale e ambientale». L’obiettivo è quello di rappresentare in modo dettagliato le politiche sulla sicurezza, la salute, l’ambiente, il rispetto dei diritti umani e la lotta alla corruzione. La Dichiarazione non finanziaria rappresenta pertanto anche per le imprese che non sono tenute alla relativa redazione, un incentivo per comunicare informazioni dell’azienda in riferimento all’impatto di questa sul territorio e sull’ambiente.
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