Premessa e ambito di applicazione
Il termine transfer pricing fa riferimento al corrispettivo che deriva dalle operazioni (cessione di beni o prestazioni di servizi) poste in essere tra società giuridicamente distinte e residenti in paesi diversi ma di fatto appartenenti ad uno stesso gruppo.
Le grosse società multinazionali, spesso, hanno interesse a manipolare i prezzi delle operazioni infragruppo al fine di allocare la maggior parte del reddito imponibile in quei paesi che risultano avere una pressione fiscale più bassa.
Proprio per evitare che queste società eludano le rispettive norme nazionali, è stato recepito nel nostro ordinamento il documento sul transfer pricing elaborato dall’OCSE, la quale impone un confronto tra il prezzo praticato nelle operazioni in cui sono coinvolte le società appartenenti al gruppo ed il prezzo che sarebbe stato applicato in un’operazione tra società del tutto indipendenti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili. Se da questo confronto deriva un aumento del reddito, allora il prezzo praticato dalle società appartenenti allo stesso gruppo deve essere sostituito da quello di libera concorrenza.
La normativa italiana è stata oggetto di importanti revisioni negli ultimi anni, dapprima con modifiche – avvenute ad opera dell’art. 59, comma 1 del D.L. 50/2017, con il quale è stato riscritto il testo del comma 7 dell’art. 110 del T.U.I.R – poi con atti e provvedimenti attuativi – tra cui il D.M. 118/2018 ed il provvedimento Agenzia delle Entrate n. 360494 del 23 novembre 2020 e da ultimo, con chiarimenti riportati da documenti di prassi come la circolare 15/E del 26 novembre 2021 e la 16/E del 24 maggio 2022. I provvedimenti e le circolari citate rappresentano, di fatto, i documenti fondamentali contenenti gli schemi ed i criteri a cui fare riferimento quando si intende predisporre la documentazione di cui si parlerà nel paragrafo 4 del presente articolo.
Riferimenti normativi e processo di armonizzazione internazionale
La disciplina del transfer pricing è contenuta nel testo del comma 7 dell’articolo 110 del D.P.R. 917/86, il quale, al primo periodo, recita: “i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito.”
I requisiti, che devono essere soddisfatti al fine di rientrare nella casistica del transfer pricing, sono i seguenti:
- Effettuazione di cessione di beni o prestazioni di servizi tra una società residente nel territorio dello Stato ed un’altra non residente;
- Esistenza di un rapporto di controllo tra le società coinvolte. A tal proposito, si fa notare che, il controllo inteso in questo ambito non è necessariamente quello disciplinato ai sensi dell’art. 2359 del c.c. (maggioranza dei voti esercitabili in assemblea, voti sufficienti in assemblea per esercitare un’influenza dominante ed influenza dominante in virtù di vincoli contrattuali pattuiti). La Suprema Corte di Cassazione, infatti, ha affermato il principio secondo cui il controllo può sussistere ad ogni ipotesi d’influenza economica potenziale o attuale desumibile da singole circostanze, anche in assenza del presupposto giuridico di cui sopra (sentenza n. 8130 del 22 aprile del 2016).
Per quel che concerne il metodo di valutazione dei prezzi, la normativa ha subito una modifica nel corso del 2017 attraverso l’art. 59 co. 1 del D.L. n. 50/2017 e successivamente con il D.M. n. 118/2018. Fino alla modifica, infatti, quando si parlava di prezzi di trasferimento, il metodo di valutazione utilizzato era quello del valore normale ai sensi dell’art. 9 del TUIR.
Si è osservato però, come tale metodo di valutazione non è stato sempre in grado di disciplinare fattispecie concrete e per questo motivo, ma anche per riconciliare la normativa nazionale con quella internazionale, si è deciso di recepire le linee guida in materia di transfer pricing elaborate dall’OCSE.
Metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento
La corretta individuazione del prezzo da praticare nell’ambito del tranfer pricing è sicuramente la questione più complessa e per questo motivo occorre analizzare nel dettaglio l’art. 4 del D.M. n. 118/2018. I metodi elencati sono essenzialmente cinque e sono tutti basati sul confronto tra un’operazione realizzata tra società controllate e la stessa operazione effettuata tra società non controllate in condizioni di comparabilità. I metodi si differenziano in base all’oggetto del confronto ed in particolare:
- Metodo del confronto di prezzo: confronto del prezzo praticato in un’operazione tra società controllate e il prezzo praticato tra società non controllate;
- Metodo del prezzo di rivendita: confronto del margine lordo che un acquirente in un’operazione tra società controllate realizza nella successiva rivendita in un’operazione non controllata con il margine lordo realizzato in operazioni tra società non controllate;
- Metodo del costo maggiorato: confronto tra il margine lordo realizzato sui costi sostenuti in un’operazione tra società controllate con il margine lordo realizzato in operazioni tra società non controllate;
- Metodo del margine netto della transazione: confronto tra il rapporto tra il margine netto ed un’altra grandezza, come ad esempio costi, ricavi o attività, realizzato da un’impresa in operazioni tra società controllate e il rapporto tra margine netto e la medesima grandezza scelta realizzato da un’impresa in operazioni tra società non controllate;
- Metodo transazionale di ripartizione degli utili: basato sull’attribuzione a ciascuna impresa associata che partecipa ad un’operazione controllata della quota di utile, o di perdita, derivante da tale operazione. Tale quota è determinata in base alla ripartizione che sarebbe stata concordata in operazioni non controllate comparabili, tenendo conto del contributo rispettivamente offerto alla realizzazione dell’operazione controllata dalle imprese associate ovvero attribuendo a ciascuna di esse quota parte dell’utile, o della perdita, che residua dopo che alcune delle funzioni svolte in relazione all’operazione controllata sono state valorizzate sulla base di uno dei metodi descritti sopra.
La condizione di comparabilità è un elemento essenziale nell’applicazione dei metodi sopra riportati. In sua assenza, l’analisi tra le due ipotesi (operazioni controllate e non controllate) risulterebbe fortemente distorta. Un’operazione viene definita comparabile ad un’altra quando non sussistono differenze significative tali da incidere in maniera rilevante sull’indicatore utilizzato ai fini del confronto. Qualora dovessero emergere differenze significative, quest’ultime dovrebbero essere rettificate al fine di ridurle o eliminarle del tutto (art. 3 D.M. n. 118/2018).
Occorre ricordare infine, che l’elenco dei metodi non è tassativo. Il legislatore lascia libero ogni contribuente di ricorrere anche ad un metodo diverso da quelli sopra citati ma solo se riesce a dimostrare che nessuno di tali metodi può essere applicato in modo affidabile per valorizzare l’operazione concreta (art. 4, co. 5, D.M. n. 118/2018).
La documentazione del transfer pricing
L’art. 26 del D.L. 78/2010 ha introdotto la possibilità, per le società e per le stabili organizzazioni appartenenti a gruppi multinazionali, di presentare una documentazione specifica attestante tutte le informazioni necessarie in ambito transfer pricing adottate nelle operazioni infragruppo. La ratio della norma non è quella di obbligare le imprese a munirsi della documentazione, ma rappresenta una mera facoltà che consente di accedere ad uno specifico regime premiale. Si tratta della c.d. penalty protection ovvero beneficiare della disapplicazione delle sanzioni amministrative e tributarie nel caso di rettifica dei prezzi di trasferimento.
In altre parole, qualora una società, a seguito di una rettifica dei prezzi di trasferimento operata dall’amministrazione finanziaria, non dovesse essere in possesso della documentazione specifica, oltre a dover pagare le maggiori imposte accertate sarebbe sanzionata in misura pari ad una percentuale che va dal 90% al 180% della maggiore imposta accertata. Se la stessa società invece, a seguito di una rettifica dei prezzi di trasferimento operata dall’amministrazione finanziaria, si fosse avvalsa della facoltà di predisporre la documentazione e se quest’ultima fosse ritenuta corretta, non sarebbe soggetta al pagamento delle sanzioni di cui sopra ai sensi dell’art. 1, co. 6 del D.Lgs. 471/1997.
Per quel che concerne la parte operativa della questione ovvero la redazione della documentazione specifica si deve far riferimento al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 360494 del 2020 ed alle circolari 15/E 2021 e 16/E 2022. Questi provvedimenti attuativi, infatti, contengono la tipologia di documenti, forme, criteri di redazione ed eventuali chiarimenti interpretativi.
La documentazione, in particolare, si compone di due dichiarazioni: il Masterfile e la Documentazione nazionale, anche detta Countryfile.
Il primo contiene informazioni in merito al gruppo multinazionale ed ha una struttura specifica in capitoli e paragrafi. Si elencano il tipo di informazioni a titolo esemplificativo ma non esaustivo: struttura organizzativa del gruppo, attività svolte da ogni società partecipante al gruppo, principali mercati in cui opera il gruppo, principali fattori di generazione di profitti, tipologie di operazioni infragruppo, politiche di prezzi di trasferimento, ecc…
La Documentazione nazionale, invece, raccoglie le informazioni riguardanti le operazioni infragruppo dal punto di visto della società residente nel territorio dello Stato. In altre parole, la Documentazione nazionale rappresenta un estratto delle informazioni contenute nel Masterfile ma maggiormente dettagliate e riguardanti la società residente in Italia. Anche questo documento è articolato in capitoli e paragrafi come il primo. A titolo esemplificativo si elencano le principali informazioni che contiene la documentazione nazionale: tipologia di operazione infragruppo, analisi di comparabilità, metodo adottato per la determinazione dei prezzi di trasferimento, ecc…
Il Masterfile e la Documentazione nazionale sono redatti su base annuale, producono effetti esclusivamente per il periodo d’imposta cui si riferiscono e devono essere conservati fino al termine di decadenza per l’accertamento di cui all’art. 43 del D.P.R. 600/1973 (5 anni o 7 anni in casa di dichiarazione omessa o nulla). La documentazione, infine, deve essere firmata dal rappresentante legale del contribuente o da un suo delegato mediante firma elettronica con marca temporale da apporre entro la data di presentazione della dichiarazione dei redditi e deve essere consegnata all’Amministrazione finanziaria entro e non oltre 20 giorni dalla relativa richiesta. Nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate, nel corso dell’attività istruttoria, dovesse ritenere carente la documentazione presentata, potrebbe avvalersi della facoltà di richiedere una integrazione. Quest’ultima deve essere fornita dal contribuente entro 7 giorni dalla richiesta, ovvero entro un termine più ampio in funzione della complessità delle operazioni sottoposte ad analisi.
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